Vizi nell’edificio acquistato: tocca al compratore provare l’esistenza del problema

Spetta difatti all’acquirente dimostrare, anche attraverso presunzioni, l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa e, dunque, di avere ricevuto un bene non conforme alle caratteristiche sue proprie

Vizi nell’edificio acquistato: tocca al compratore provare l’esistenza del problema

In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta, il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo, come da Codice Civile, è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi. Tale riparto dell’onere probatorio, non compreso nell’ambito applicativo dei principi fissati in materia di prova dell’inesatto adempimento delle obbligazioni nelle ordinarie azioni contrattuali, si risolve, sempre Codice Civile alla mano, alla stregua del principio secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Pertanto, spetta all’acquirente dimostrare, anche attraverso presunzioni, l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa e, dunque, di avere ricevuto un bene non conforme alle caratteristiche sue proprie. Questi i chiarimenti forniti dai giudici (ordinanza numero 31297 del 6 dicembre 2024 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo alla possibile riduzione di prezzo per un bene immobile, riduzione ipotizzata dall’acquirente a fronte dei vizi riscontrati sull’immobile stesso. In Appello viene accolta l’istanza dell’acquirente, in quanto provati i vizi da lui lamentati e tali da avere diminuito in modo apprezzabile il valore del bene immobile. Parlando di vizi, il riferimento è, nello specifico, ad alcuni fenomeni di umidità. Su questo fronte, il venditore non ha offerto alcun elemento di prova circa l’effettiva derivazione delle tracce di acqua e delle tracce di umidità non da un difetto di costruzione del bene immobile ma da fenomeni esterni con caratteri di eccezionalità. Questa visione viene però ribaltata dai magistrati di Cassazione, i quali precisano che, in caso di azione di riduzione del prezzo per vizi della cosa venduta (o anche di risoluzione), il presupposto è l’imperfetta attuazione del risultato traslativo per la presenza, nella cosa venduta, di vizi che la rendono inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore. Si tratta di una responsabilità che prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore e si fonda soltanto sul dato obiettivo dell’esistenza dei vizi, ed essa si traduce, quindi, nella soggezione del venditore all’esercizio dei due rimedi di cui può avvalersi il compratore, al quale è anche riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, salvo che il venditore provi di aver senza colpa ignorato i vizi. Ciò detto, il riparto dell’onere della prova tra venditore e compratore nelle azioni edilizie deve risolversi alla stregua del principio, fissato dal Codice Civile, secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Sicché il diritto alla risoluzione o alla modificazione (quanto al prezzo) del contratto di compravendita, che vuol far valere il compratore che esperisca le azioni per essere garantito dal venditore per i vizi della cosa venduta – vale a dire, per l’imperfetta attuazione del risultato traslativo, anche in assenza di colpa del venditore – si fonda sul fatto della esistenza dei vizi. Pertanto, la prova dell’esistenza dei vizi grava sul compratore. Tornando alla vicenda oggetto del processo, quindi, tocca all’acquirente l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa e, dunque, di avere ricevuto un bene immobile non conforme alle caratteristiche sue proprie in modo da determinare i suddetti fenomeni di umidità.

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